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Intervista a Lucia Aleotti, Vice presidente di Farmindustria, sul Decreto Liberalizzazioni pubblicato sul sito www.staibene.it

Da http://staibene.libero.it/libero_zoomdettaglio_cornice.asp?id=227913

Lucia Aleotti lancia l’allarme: rischio invasione di farmaci generici indiani e cinesi

Il Vice presidente di Farmindustria chiede al Governo Monti di correggere la svista sulla liberalizzazione nelle ricette mediche che non fa risparmiare sulla spesa sanitaria ma rischia di far chiudere le fabbriche in Italia.

“Il coraggio e la tenacia del governo nello stimolare la crescita dell’economia introducendo liberalizzazioni e concorrenza in molti settori protetti è encomiabile e vanno sostenuti, ma imporre ai medici di indicare nella ricetta sia il farmaco di marca che quello generico, non serve ai cittadini, non fa risparmiare lo Stato e ha solo l’effetto di spostare lavoro dall’Italia ai paesi emergenti, dove la maggior parte dei generici viene prodotta; è dunque contro l’interesse del Paese.”

Lucia Aleotti, fresco vice presidente di Farmindustria con delega al piano industriale, nonché presidente dell’unico campione nazionale del settore, la Menarini Farmaceutici, è più amareggiata che arrabbiata “perché ci rendiamo conto che l’industria farmaceutica italiana, la seconda d’Europa, con i suoi 65 mila dipendenti, il 60% di esportazioni ed all’avanguardia per innovazione, ricerca, ed internazionalizzazione, continua ad essere penalizzata, questa volta, davvero anche inutilmente”.

Perché inutilmente?

“Perché costringere il medico a promuovere il farmaco generico – risponde Aleotti - intanto non serve a far risparmiare lo Stato. Già oggi quando viene prescritto un farmaco, il servizio sanitario nazionale rimborsa al produttore il prezzo del farmaco equivalente con il minor prezzo in commercio. Dunque meno di così lo Stato non può spendere nemmeno se il medico aggiunge la sua indicazione”.

E non è un incentivo alla concorrenza tra le imprese che va a vantaggio dei cittadini?

“Se fosse un incentivo alla concorrenza sarebbe davvero un curioso incentivo. Se l’industria del farmaco dovesse raccogliere fino in fondo la sfida della concorrenza dei paesi emergenti che in larga parte producono i farmaci generici, questo sarebbe possibile solo producendo con i costi della produzione indiana e cinese. Ma poiché non è questo che vogliamo, né per il Paese né soprattutto per la salvaguardia delle conquiste sociali e dei posti di lavoro in Italia, se le intenzioni del governo si trasformassero davvero in decisioni, significherebbe regalare, per decreto legge, lavoro alle fabbriche indiane e cinesi togliendolo alle nostre fabbriche”.

Il cittadino avrebbe almeno qualche vantaggio in termini di prezzo?

“No, per il cittadino non cambierebbe nulla, in quanto già oggi ha la possibilità di scegliere il farmaco generico meno caro perché questo gli viene per legge proposto dal farmacista in sostituzione di quanto prescritto dal medico. Proposta che può, ovviamente, accettare o meno”.

Potrebbe esserci almeno un effetto positivo sull’ammontare della spesa farmaceutica che resta una delle voci più onerose del bilancio pubblico?

“Assolutamente no, dal momento che -appunto- lo Stato paga comunque solo il corrispondente del farmaco meno costoso. E poi guardi, la voce veramente costosa è il resto della spesa sanitaria che è l’84% del totale, più che quella farmaceutica, come dimostrano le cifre. Negli ultimi dieci anni il settore farmaceutico ha fatto investimenti ingenti ed ha dato al Paese fabbriche di eccellenza che, rispetto al resto dell’industria manifatturiera, sono 3 volte più pulite grazie agli investimenti ambientali, 8 volte più innovative, quanto alla spesa in ricerca e sviluppo, 3 volte più internazionali se guardiamo alle esportazioni per addetto. Eppure, qualcuno deve spiegare ai lavoratori dipendenti, prima che a noi imprenditori, perché negli ultimi dieci anni il resto della spesa sanitaria (ricoveri, acquisti di beni e servizi, diagnostica, sprechi compresi) è cresciuta di oltre il 50% mentre la spesa pubblica legata ai farmaci si è ridotta del 5%, per giunta con prezzi medi diminuiti del 5% mentre in Europa sono cresciuti del 10%.

Come si spiega questa nuova norma, dunque?

“Onestamente non lo so. Mi sfugge soprattutto la ratio della norma che si vorrebbe introdurre nel decreto liberalizzazioni. Per di più nelle fabbriche farmaceutiche italiane lavorano 25.000 addetti diretti e 30.000 indiretti, mentre i produttori di farmaci generici occupano appena mille addetti, un numero inferiore alle sole fabbriche del farmaco in Abruzzo. Inoltre dalle nostre fabbriche esportiamo oltre il 60% delle produzioni, un bel contributo per l’economia nazionale. Ma è evidente che se ai nostri stabilimenti si toglie il 40% indirizzato al mercato interno, non possono reggere”.

Come intendete muovervi per la difesa del settore?

“Chiedendo al Governo di riflettere attentamente sulle conseguenze di una simile decisione, e mobilitando tutte le forze politiche e del lavoro attorno all’obiettivo comune di difendere e rilanciare l’occupazione e la produzione nell’interesse dell’Italia, non della Cina o dell’India”.

Costantino Bruni

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